Ipnosi e psicoterapia a Cagliari

venerdì 28 settembre 2012

Speciale: psicologia del fumatore (1)


Ormai sapete molto sull’ipnosi, sapete che un fumatore accanito non smetterà mai se non è convinto al 100%. Sapete che l’ipnosi non può nulla contro la volontà del soggetto, e che purtroppo l’ipnosi non è un lavaggio del cervello, né un intervento di neurochirurgia in anestesia totale. In ipnosi se una persona vuole può rilassarsi anche molto profondamente; dietro la guida del terapeuta può rievocare situazioni del passato come se fosse un sogno, può arrivare a provare delle sensazioni corporee come se fossero reali, ma se vuole continuare a fumare lo farà, con o senza ipnosi. Se uscito dallo studio non accetterà il fatto che da quel momento ci saranno dei cambiamenti nella sua vita, se si aspetta che tutto sarà come prima, allora riaccenderà quella sigaretta.
Perché smettere di fumare è molto più che non comprare più sigarette e accendino, e ha molto a che fare con la gestione del tempo. Fumare riempie il tempo, riempie lo spazio, è qualcosa che facciamo che ci tiene impegnati mentre non facciamo nulla o mentre siamo impegnati in un’attività. A molti tiene compagnia mentre stanno al computer, la sigaretta diventa una compagna di viaggio consolidata nel tempo, un’attività che ci accompagna sempre. 
Quando una persona prova a smettere di fumare, di colpo sente un vuoto. Gli manca qualcosa mentre guida, mentre guarda la tv, un senso di vuoto che cresce quando qualcuno chiede: “posso offrirti una sigaretta?”; e lui sa benissimo che deve dire di no perchè “ha smesso”. Quindi guarda il pacchetto, e in quel momento si sente un martire, sacrificato per una causa superiore... e si sente vuoto, triste, punito. 
La sua mente da fumatore allora corre in suo soccorso, offrendogli un pensiero allettante, una scorciatoia lastricata d’oro. Che in realtà, vedremo poi, è una trappola mentale: 
“Ma chi me lo fa fare?”
poi 
“solo per oggi”.
“domani: prometto che smetto domani, ma ora questa me la fumo”. 
“questa me la gusto, è diverso”.
“smetto domani, quindi stasera fumo quanto voglio per l’ultima volta”. 
Tutto questo in un ciclo che si ripete, finché la persona non arriva a dirsi che ha tutto il tempo che vuole per smettere, e che ora non è il momento giusto. 
E si riprende a fumare a pieno ritmo, trascorre la sua vita in compagnia delle sigarette senza più sentire il vuoto, o sentirsi una vittima sacrificale. E da quel momento le sigarette offerte non sono più gustate o speciali, ma diventano -come le definisce bene Allen Carr, “sigarette automatiche”, cioè le fumiamo senza farci caso. La mente mette in atto un totale automatismo, un pilota automatico che si interrompe nel momento in cui apriamo il pacchetto e ci rendiamo conto che l’abbiamo quasi finito. “Di già?”
Fumando, insegniamo al nostro cervello che la sigaretta non è un male, creando una dipendenza psicologica ma anche fisica. Così la nostra mente nei momenti di calo di nicotina o di stress, elabora idee e razionalizzazioni automatiche per continuare a fare quello che le abbiamo insegnato: tenere alti i livelli di nicotina. Se volete smettere, dovete mettere in conto che nella prima settimana il vostro cervello sfornerà pensieri che giustificheranno il riaccendere una sigaretta. Saranno pensieri involontari che arrivano da soli, che vi assaliranno di sorpresa in qualunque momento, trovando ragioni abbastanza convincenti per farvi fumare di nuovo se non siete sufficientemente motivati per smettere. Questo è il motivo numero 1 per cui certi fumatori abbandonano la terapia prima delle 5 sedute: perché i richiami della loro mente sono più forti del loro desiderio di smettere.
Alcuni esempi? “Solo per questa volta - se ne fumi una non ti succede nulla - una sigaretta sola non ha mai ucciso nessuno - se non fumo resterò depresso e non mi godrò la serata - smetto domani, lo prometto - farei un torto al mio amico se rifiutassi la sigaretta che mi sta offrendo - oggi sono giù, fumo questa per tirarmi su di morale e poi basta - oggi sono felice, è andato tutto benissimo, mi premio accendendo una sigaretta - fumo solo questa per rilassarmi un attimo - fumo questa perché è di una marca che non conosco - fumo per dimenticare - mi sto annoiando troppo: devo fumare!  - sto troppo male, sono stufo, adesso fumo questa sigaretta- etc. etc.
Potrei continuare, ma il campionario di giustificazioni mentali per continuare a fumare è davvero vasto, e la prima cosa da sapere quando si entra nell’ottica di smettere è che la sensazione di vuoto ci sarà, ma passerà da sola perchè il cervello, se gli diamo tempo, si riabitua da solo; la seconda cosa da sapere è che tutti i pensieri automatici involontari sono pensieri-fake, pensieri ingannevoli stimolati unicamente alla crisi di astinenza. Dobbiamo imparare a riconoscere questi pensieri e disattivarli. E così come Ulisse si fece legare all’albero della nave perchè volle sentire il canto delle sirene senza tuffarsi in mare (e morire), allo stesso modo dovrete  procurarvi una bella corda robusta e legarvi. La corda si chiama “motivazione”. Per chi non riesce a legarsi da solo, il terapeuta sa fare un nodo che si chiama “ipnosi”. 

Tenete sott’occhio il blog perchè nei prossimi giorni pubblicherò le altre parti dello speciale “La psicologia del fumatore”. 

Dott. Delogu

giovedì 13 settembre 2012

Libretto delle istruzioni per chi va dallo psichiatra



Cari lettori,
ho deciso di scrivere questa mini guida, perché nel mio lavoro molte persone mi pongono domande che hanno a che vedere con un uso dei farmaci, e al 90%  c'è alla base una scarsa comunicazione con lo psichiatra. Perciò l'intento è di trasmettere informazioni corrette che possano aiutare a trarre il massimo vantaggio dal rapporto con lo psichiatra e dalla terapia farmacologica.
Quelle che seguono sono esempi di domande (poste a me, o sui forum) che rivelano degli errori concettuali sulla terapia psichiatrica: "sto prendendo lo xanax 3 volte al giorno ma mi fa stare peggio, pensavo di cambiare psichiatra". Oppure: "prendo xeristar, alprazolam e stilnox, non è che diventerò dipendente?"; "è meglio l'efexor o il prozac, cosa mi consigliate?".
Tutte queste domande, in fondo, mostrano la carenza di informazioni essenziali, e quindi preannunciano un futuro fallimento. Ora vedremo perchè.
Per qualsiasi motivo ci si rivolga ad uno psichiatra, è necessario allearsi con lui in un rapporto di fiducia, finalizzato a trovare insieme i farmaci e i dosaggi adatti. Perchè nessuno psichiatra al mondo saprà prescrivere a colpo sicuro un farmaco (uno o più) che al 100% andrà bene e non darà effetti collaterali. Tutto dipende dalla reazione fisiologica individuale dell'organismo, che varia da persona a persona. Ciò significa che il coefferalgan, farmaco usato nel trattamento del dolore acuto e cronico, a certe persone toglie il dolore, mentre altre non traggono alcun giovamento: "acqua fresca", per intenderci. Colpa del medico che l'ha prescritto? No. Questione di reazione del proprio organismo a quella determinata molecola, e siccome non siamo tutti uguali, si possono avere reazioni diverse. Questo significa che se finchè un farmaco non si prova, non c'è possibilità di sapere con certezza assoluta se andrà bene o male.
L'errore quindi più grande che si possa commettere è pensare "questa terapia mi ha dato effetti collaterali, perciò cambio psichiatra perchè è un incapace", perchè lo psichiatra inizialmente imposta una terapia farmacologica standard, da adattare sulla base di ciò che riferisce il paziente.
Quindi cosa bisogna fare se si assume un farmaco e questo dà stordimento?
Risposta: chiamare lo psichiatra e dirglielo immediatamente. Ci sono certi farmaci antidepressivi che inizialmente danno degli effetti collaterali, che poi passano dopo la prima settimana, ma voi non sapete se il farmaco che assumete rientra tra questi, ma lo psichiatra sì. Quindi qualsiasi cosa succeda, qualsiasi dubbio abbiate sulla terapia, chiedete direttamente a lui, perchè attraverso le vostre domande si creerà quel rapporto di fiducia indispensabile per una buona riuscita della terapia. Fidatevi del vostro psichiatra, che se va bene avrà visto centinaia di casi come il vostro.
Un bravo psichiatra ha un intuito farmacologico speciale -grazie al vostro aiuto- nel trovare combinazioni vincenti di farmaci adatti a voi, ma tutto questo avviene solo ed esclusivamente quando raccontate subito nel dettaglio effetti negativi e positivi di una data terapia.

Altra cosa importantissima da sapere è che non esiste un farmaco che va bene per sempre. Ogni tanto bisogna cambiarlo. Un po' perchè il corpo si abitua e l'effetto non è più lo stesso, un po' per prevenire effetti collaterali, un po' perchè esiste una terapia d'attacco e una di mantenimento. Quindi è un ragionamento sbagliatissimo pensare: prendo il farmaco XYZ, mi sono scomparsi tutti i sintomi, quindi a controllo dallo psichiatra non ci vado più, e se sto meglio smetto di prenderlo. Sbagliato per 4 motivi:
1) Lo psichiatra sa quando è il momento di fare una rivalutazione della terapia, voi no.
2) Lo psichiatra sa quando è il caso di aumentare la terapia per prevenire le ricadute nei cambi di stagione (stiamo parlando di depressione maggiore)
3) certi farmaci assunti nel lungo termine e poi interrotti danno un effetto rebound, ossia un effetto opposto.
4) a seconda del farmaco, se assunto per lungo tempo dà tolleranza e dipendenza, perciò smettere di prenderlo di colpo può essere la peggiore delle scelte, perchè poi si sta malissimo. Alcune categorie di farmaci vanno scalati, e lo psichiatra sa come fare, e come aiutarvi, sempre sulla base delle vostre indicazioni.

Altro punto fondamentale da sapere è che si prendono i farmaci per stare meglio, non per stare peggio. Quindi se in seguito all'assunzione di un farmaco scoprite un sintomo spiacevole che prima non c'era, non ha senso fare gli stoici e non riferire niente allo psichiatra (ho conosciuto signore che, siccome la psichiatra aveva prescritto un certo farmaco, allora "per non lamentarsi" non riferivano effetti collaterali anche importanti). Sbagliato, sbagliatissimo, mi son sentito dire "ma io non lo sapevo che bisognava dirlo".
Questo post serve per far sapere a tutti che con lo psichiatra bisogna parlare in modo chiaro e sincero, e riferire qualsiasi sintomo si presenti.

E' importantissima la relazione terapeutica, ma è più importante affidarsi a professionisti bravi, capaci, che vi convincano.
Ha senso sentire il parere di un altro psichiatra dopo molti tentativi andati a vuoto, mentre non ha senso cambiare 5 psichiatri in un mese, perchè bisogna dare il tempo all'organismo di assimilare il farmaco e quindi reagire.
Dal punto di vista umano, uno psichiatra non è un distributore automatico di farmaci che stampa in automatico le ricette, è una persona, e come tutte le persone può ispirare fiducia, simpatia, professionalità o diffidenza. Il mio consiglio sincero è, se si ha la possibilità di scegliere, di affidarsi ad uno psichiatra che ispiri grande fiducia e competenza. Se non si può scegliere (se si è seguiti da uno psichiatra del CIM o CSM, per esempio) le regole di sopra valgono ugualmente, e non è superfluo ricordare che ci sono medici ottimi sia nel pubblico che nel privato, e che la voglia di farcela è il primo passo verso la guarigione.
Inoltre studi scientifici hanno dimostrato che l'efficacia dell'associazione psicofarmaci + psicoterapia è decisamente superiore alla sola terapia farmacologica. 
Quindi invito tutti i lettori che assumono psicofarmaci ad affidarsi nelle mani di uno psicoterapeuta, col quale ci sia affinità.


Saluti.

Dott. Delogu
Psicologo-psicoterapeuta

martedì 11 settembre 2012

Parlare con uno psicologo? Tanto vale parlare con un amico. Level 2

Carissimi lettori,
al di fuori del mio lavoro entro in contatto a volte con persone che non credono negli psicologi, tantomeno nella psicoterapia, e affermano che "per chiacchierare, tanto vale parlarne con un amico, almeno non spendi soldi". Queste persone non hanno la minima idea di cosa significa stare male, e non sanno cosa accade dentro uno studio di psicoterapia. Lo sanno dai film, quindi non lo sanno.
Tutte le persone che conoscono la sofferenza non la sminuiscono, ma la riconoscono e la rispettano. Sanno quant'è difficile trovare un bravo terapeuta, sanno che il percorso per stare meglio può essere anche breve, ma è una cosa da prendere molto seriamente.
Ho sentito nei vari CSM e CIM dove ho visto pazienti, qualcuno che diceva "tutti hanno bisogno di psicoterapia". Io non sono d'accordo. Le persone che hanno un problema che non riescono a risolvere da sole, un problema tale da abbassare la qualità della vita, hanno bisogno di una psicoterapia. Chi sta bene, chi pensa che il problema più grave sia un batticuore guardando giù dal bastione, non arriva a capire cosa si prova ad avere un attacco di panico, o una depressione, o pensieri ossessivi, o disturbi sessuali. Semplicemente penserà "basta non pensarci e passa tutto".
So bene che persone che la pensano così non arriveranno mai a leggere ciò che sto scrivendo, perciò ho preparato una mini guida sulle cose da sapere quando si va da uno psicoterapeuta.
E subito una domanda sorge spontanea (cit.): quale psicoterapeuta? Che fa quale psicoterapia?
Già, perchè gli psicoterapeuti non sono tutti uguali, non fanno la stessa cosa, e ce ne sono di bravi e meno bravi, come in tutte le professioni.

Buona lettura.


C'è una grande differenza tra parlare con un amico e fare una psicoterapia. Uno psicoterapeuta applica delle tecniche, protocolli, linee guida, conosce i mezzi per risolvere un problema, cosa che un comune amico non fa, perché non ha le conoscenze specialistiche per poterlo fare, e soprattutto perché è nel ruolo di amico, che non gli permette di essere efficace. Quindi dimentichiamoci la figura dello psicoterapeuta come quello seduto dietro un lettino che ascolta per un'ora. *Quel* tipo di psicoterapia prende il nome di psicanalisi, ed è una cosa a sé stante. Esistono moltissime forme di psicoterapia che adottano altri metodi, altri approcci, altri setting, e confrontare le diverse forme di psicoterapia è come paragonare un cuoco specializzato in dolci e torte, con uno specializzato in secondi, arrosto e pesce: sono cuochi entrambi ma utilizzano modalità completamente differenti... per un risultato differente.

Avrete capito quindi che esiste un mare magnum della psicoterapia, tantissimi orientamenti, ciascuno dei quali si occupa di tematiche specifiche, e si basa su teorie di riferimento differenti se non anche opposte (la psicanalisi si basa sulla teoria dell'inconscio, la terapia cognitivo comportamentale lavora sul presente e tralascia gli aspetti inconsci, non ritenendoli scientificamente validi). Chi ha ragione? Gli psicologi litigano su questo, per questioni "concettuali", diciamo così. Giusto per entrare nel merito, è stato pubblicato un libro intitolato "il libro nero della psicanalisi", scritto dai più eminenti rappresentanti della psicologia "scientifica", che rivela come la psicanalisi non sia una psicoterapia ma più un percorso filosofico. Qualche tempo dopo gli psicanalisti, arrabbiati, hanno pubblicato un libro contro la terapia cognitivo-comportamentale, puntando il dito sulla "superficialità" di una terapia che lavora sui pensieri ma non nel profondo, mettendo in discussione ricerche, dati e risultati. Insomma: non se ne esce più e non se ne uscirà mai.
Già da queste poche righe avrete capito che alcuni ritengono che una certa terapia sia la migliore, per motivi puramente teorici e concettuali. Non voglio entrare nel merito: credo fermamente che il rispetto del lavoro e delle idee dell'altro debba essere la base del lavoro di uno psicoterapeuta.
Dal mio punto di vista quello che conta sono solo 2 cose: il numero di sedute e l'efficacia della terapia.
Il primo criterio da prendere in considerazione è il rapporto terapeutico, cioè lo psicoterapeuta deve ispirarci professionalità e calore umano, farci sentire accolti e ascoltati - ma NON compatiti. Uno psicoterapeuta, a differenza di un amico, non giudica e non compatisce: empatizza ma lasciando fuori dalla terapia compassione e pietà.
Il secondo criterio è l'orientamento di psicoterapia. Esistono terapie validate scientificamente, ossia dichiarate evidence-based, quindi supportate da meta-analisi e dati statistici, e universalmente riconosciute dalla comunità scientifica come efficaci (per esempio la terapia cognitivo-comportamentale, la mindfulness, schema therapy, l'ipnosi nel dolore); e ci sono molte altre forme di psicoterapia che non superano il vaglio dell'evidenza scientifica, per assenza di ricerche statisticamente valide, o per carenza di risultati apprezzabili rispetto al gruppo di controllo. Se guardiamo il discorso con un'ottica da ricercatore, non si possono fare sconti. Questo discorso che stiamo affrontando per le psicoterapie, viene fatto ugualmente e a maggior ragione per valutare l'efficacia dei farmaci. Se superano il confronto rispetto al gruppo di controllo che assume il placebo, allora il farmaco viene dichiarato efficace. Per le psicoterapie il discorso si complica enormemente, dato che una psicoterapia estremamente personalizzata, difficilmente rientrerà negli schemi rigidi della standardizzazione, perciò in certe terapie (come l'ipnosi ericksoniana, per esempio) uno stesso paziente con lo stesso disturbo verrà trattato da 10 terapeuti ericksoniani in 10 modi diversi, mandando a monte qualsiasi tentativo di analisi statistica.

La mia idea è che non solo a seconda del tipo di problema, ma anche della persona, è più adatta una forma di psicoterapia piuttosto che un'altra. Per esempio un disturbo borderline di personalità è inutile trattarlo con una psicoterapia ipnotica (giusto per citare la mia prima specializzazione, parlo quindi con cognizione di causa), mentre una schema therapy Schema Therapy - Wikipedia, the free encyclopedia è il trattamento dimostrato scientificamente più efficace per quel tipo di problema. Questo significa che con altre forme di psicoterapia, nonostante un ottimo rapporto col terapeuta, si utilizza un'arma spuntata, perché per certi disturbi certe psicoterapie si sono dimostrate più rapide ed efficaci di altre. Prendiamo per esempio un disturbo post-traumatico da stress trattato con l'EMDR (una delle terapie d'elezione, assieme alla Emotionally focus therapy Treating Traumatized Couples Using Emotionally Focused Therapy « For Trees We Will Not Sit Under ) e trattato con la terapia sistemico-relazionale. Nel primo caso (EMDR), dando per contato un'ottima alleanza terapeutica, abbiamo tra le mani uno strumento efficacissimo, per usare la metafora culinaria "un coltello ben affilato". Nel secondo caso, in bibliografia non risultano studi che mostrino la terapia familiare come indicata per il PTSD -disturbo post-traumatico da stress- per cui il nostro cuoco, seppur bravissimo, avrà tra le mani uno strumento non affilato, quindi inutile. Giusto per intenderci: durata dell'EMDR 3-5 sedute per trauma singolo; durata di una terapia familiare per lo stesso problema: indefinito. Percentuale di successo EMDR: oltre l'80%. Percentuale di successo della terapia familiare per trauma singolo: sconosciuta, non essendoci ricerche, né indicazioni per quel tipo di disturbo.
Le percentuali di successo non sono la bibbia, perché le variabili che entrano in gioco per raggiungere quell'80% sono svariate: relazione terapeutica, motivazione, aderenza alla terapia, compliance, capacità tecniche e personali del terapeuta. Però ci danno un'indicazione di massima. Voglio dire che se si deve scegliere tra uno psicoterapeuta consigliato da un'amica e definito "bravissimo", ma che fa una terapia che dura anni, e uno psicoterapeuta sconosciuto che adotta un modello molto forte ed efficace, io a scanso di equivoci mi informerei prima sui modelli di psicoterapia, poi farei un colloquio con entrambi.

Quindi nella scelta della psicoterapia bisognerebbe prima di tutto sapere quali sono i trattamenti più efficaci per risolvere il nostro problema, e cercare un terapeuta di quell'orientamento nella vostra zona che sia competente e vi metta a vostro agio. A quel punto, un bravo psicoterapeuta vi spiegherà come funziona la psicoterapia, modalità, tempi e costi, in modo che in ogni istante voi sappiate esattamente cosa state facendo e a che punto siete.
Esistono terapie tradizionali, come la psicanalisi che durano anni (anche oltre 10); altre psicoterapie, come la terapia cognitivo-comportamentale, definite "terapie brevi", che lavorano per obiettivi e con modalità standardizzate e tecniche predefinite. Esistono terapie basate su tecniche di mediazione corporea, come la terapia bioenergetica, lo psicodramma, o altre, come voi stessi potete vedere qui La psicoterapia a mediazione corporea - alfemminile o qui Psicoterapia - Wikipedia .

Ma al di là dell'orientamento e dell'efficacia relativa a determinati disturbi, una cosa importantissima è che la persona deve riuscire a "starci" in un determinato modello. Questo significa che certi pazienti non riescono a tollerare una terapia troppo direttiva e interventista, perché sentono il bisogno di parlare per tutta la seduta -quasi facessero una psicanalisi. Altre che invece, come si siedono chiedono "cosa facciamo oggi?", perché sono persone improntate sul *fare*, quindi si trovano a proprio agio con protocolli standardizzati, esercizi a casa e
tecniche.
Perché una terapia funzioni, deve esserci quindi una congiunzione di questi fattori, ma per semplificare le cose vi dico subito come ho risolto io, e molti altri prima di me: mi sono specializzato in più orientamenti, e utilizzo gli strumenti di ciascuno a seconda della persona o del punto della terapia.
L'esperienza personale e la collaborazione con il paziente fanno tutto il resto.

Dott. Delogu