Ipnosi e psicoterapia a Cagliari

lunedì 11 febbraio 2013

Dicono che ho un problema, ma il problema ce l'hanno gli altri



Bentornati.
Avere in casa una persona con un problema di dipendenza (ma talvolta anche psichiatrico), significa compiere delle scelte. E' una costante che all'inizio di una dipendenza, chi ne è coinvolto non si rende conto di avere un problema.
Incollo una conversazione tratta da qui nella quale credo ci siano spunti per il pensiero interessanti.


Originariamente Inviato da giuni
Mettere in risalto il problema aiuta ma prevede un rischio: quello di "mettersi contro" il familiare che ha problemi con l'alcol. Lo dico per esperienza. Prima mio fratello faceva tutto "alla luce del sole", da quando si è sentito considerato un alcolizzato da noi (cosa che realmente era!), ha iniziato a vederci come "nemici" e a vivere l'alcolismo come un fatto solo suo, a nascondersi, mentire...certo, è stato messo di fronte alla realtà, ma forse non per tutti è la cosa giusta....devono vederla loro la realtà.

Risposta

All'università a lezione di psicologica delle tossicodipendenze, la docente disse che un figlio o una figlia eroinomane non vanno tenuti in casa, ma vanno messi alle strette: o vai in comunità o vai a vivere per la strada. Il principio era che la persona doveva capire che eroina significa perdere tutto, gli affetti, il lavoro, un letto sul quale dormire. Quando non ne potevano più, allora accettavano di andare in comunità.
Quando ero al Sert seppi di un genitore che passando in macchina vide la figlia battere sul marciapiede, e capì che mandarla via era stato un errore. Decise che il male minore era farla tornare nuovamente a casa, e guardarla "a vista".

Qual'è la cosa giusta da fare? Dire "è la sua vita, se vuole gettasi nel baratro nessuno glielo può impedire" -e quindi lasciarla andare, oppure fare il possibile e l'impossibile per frenare la sua caduta?

Questo per dire che non esiste una soluzione facile, giusta, nè una che funzioni per tutti. Ci sono persone che bevono fino a che non cede il fegato, come persone che continuano a fumare anche dopo che gli hanno asportato un polmone per un tumore.
Un disturbo "egosintonico" è una situazione che per gli altri è un problema, ma non per il soggetto che lo vive -per esempio la pedofilia. La persona che inizia a bere/fumare/drogarsi/giocare d'azzardo, inizialmente è una persona che sta bene ed è contenta di quello che fa, e non si rende conto -nè è interessato- alle eventuali conseguenze. Infatti tutti pensano "alcolizzati sono quegli altri, mica io", per cui si sente criticato, attaccato, non compreso da chi gli mostra un aspetto difforme dal suo sentire. Lo vive come un'esagerazione.
La persona sarà pronta a cercare aiuto e cambiare quando il disturbo diventerà "egodistonico", come la depressione, durante la quale la persona non sta bene e cerca di liberarsi del problema.
Nel caso dell'alcolista accadrà quando tornerà strisciando per la strada? O quando passerà guai con la polizia? Quando prenderà a pugni la persona che ama? Non lo so, ciascuno ha un suo limite personale che gli fa dire "questo è troppo per me, devo smettere". Cosa può fare la famiglia prima che l'alcolista tocchi il fondo e realizzi l'entità del suo problema?
Non tollerare il comportamento in nessun modo, oppure ignorarlo finchè possibile, finchè non metterà a repentaglio l'incolumità propria e degli altri, o non cominceranno a sparire "inspiegabilmente" dalla casa gioielli, mobili, tv, arredamento.
Il problema è reale, purtroppo non esistono soluzioni facili e universali. Esiste però un supporto della ASL (SerD), e Alcolisti Anonimi che definirei BASILARE. Quando le cose cominciano a mettersi male, affidarsi a persone che hanno già passato quel problema o hanno seguito 3000 casi simili fa veramente la differenza.

Dott. Delogu

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